Prestazioni di singoli e gruppi a confronto. Quando il gruppo è più efficiente ?

Chi, trovandosi in un team dedicato alla soluzione di un problema, non ha almeno una volta pensato a quanto poco produttivo possa essere l’approccio di gruppo ?

Quando dunque è conveniente il lavoro di gruppo e quando dovremmo preferire l’approccio individuale (basandoci solo sulla produttività e tralasciando continuità, vantaggi organizzativi, controllo sulle persone e sul risultato)?

Molti ricercatori hanno lavorato su questo argomento:

Floyd Henry Allport nel 1920 giunge a questo risultato: “the social influence was found to improve the quantity but not the quality of the mental performance.” Il suo studio misura l’efficenza delle prestazioni da soli e affiancati da un collega o amico, le sue conclusioni sono che l’attività di gruppo facilita la prestazione nei compiti più semplici e la ostacola in quelli più complessi (http://www.brocku.ca/MeadProject/Allport/Allport_1920a.html).

Robert Zajonc (Activation theory, 1965) notò che la presenza di altri animali della stessa specie crea un’eccitazione che permette di aumentare le prestazioni su attività ben apprese o abituali, riducendo però quelle su comportamenti non abituali e la comparsa di nuove risposte.

Monteil e Huguet (1993) hanno studiato l’effetto di un compito eseguito in contemporanea ad un’altra persona che lo esegue lentamente, alla stessa velocità o più velocemente del partecipante. I risultati indicano che i partecipanti si impegnano in un confronto sociale con l’altra persona e che questo confronto crea distrazione  (http://www1.up.univ-mrs.fr/gsite/Local/lpc/dir/huguet/IJP-93.pdf).

Questo effetto è stato riscontrato anche da molti altri autori non solo nel caso di compiti che richiedono un lavoro mentale, ma anche in caso di sforzo fisico. L’effetto Ringelmann, osservato nel settore agricolo, è la tendenza per i singoli membri di un gruppo a diventare sempre meno produttivi con l’aumentare della dimensione del gruppo (http://en.wikipedia.org/wiki/Ringelmann_effect).

Sembra quindi che nei compiti più semplici e conosciuti il lavoro di gruppo possa portare ad un incremento delle prestazioni che tendono a deteriorarsi con l’aumento della complessità dell’attività. Studi più recenti dimostrano però che il beneficio del gruppo ritorna però in compiti ancora più complessi: nei compiti non risolvibili dai singoli, il partecipante viene motivato dalla significatività del compito e dall’importanza del suo contributo al gruppo. In questo ultimo caso però i partecipanti devono essere tutti essenziali e il numero deve essere molto ridotto.

Nelle attività creative siamo però portati ad aspettarci un impatto positivo del gruppo.

Spesso la tecnica del brainstorming è considerata come il modo migliore per produrre risposte creative. Siamo però sicuri che sia realmente efficiente ?

La ricerca empirica confrontando gruppi di brainstorming con gruppi nominali (gruppi di individui che generano idee senza interagire tra loro) indica che gruppi di brainstorming sono un mezzo inefficiente di generare idee (http://www.iaf-world.org/Libraries/IAF_Journals/Reconsidering_Brainstorming.sflb.ashx). Individui che lavorano separatamente e senza confrontarsi producono dunque risultati migliori anche nell’ambito creativo. E’ possibile però migliorare le prestazioni di una sessione di brainstorming utilizzando una tecnica ibrida (Electronic brainstorming) dove si riduce l’interazione diretta utilizzando la mediazione del computer.

(Alberto Viotto)

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