La pianificazione delle attività è un argomento molto delicato nelle aziende. Il tempo pianificato per svolgere un’attività deve spesso essere prolungato per i più svariati motivi. Viene da chiedersi se cause di questi ritardi si possono sempre imputare solo a situazioni esterne. La risposta ovviamente è no, numerosi esperimenti hanno verificato quanto questo tipo di errore è comune.
Nel 1994, Buehler, Roger; Dale Griffin e Michael Ross hanno chiesto a 37 studenti di psicologia di stimare quanto tempo ci sarebbe voluto per completare le loro tesi. La risposta media è stata di 33,9 giorni. E’ stato poi chiesto di stimare il caso migliore ed il caso peggiore, creando quindi un intervallo entro il quale sicuramente sarebbero riusciti a completare l’attività. Questo intervallo è risultato essere da 27,4 giorni a 48,6 giorni (in media). Il tempo medio di completamento effettivo è poi risultato essere di 55,5 giorni. Solo il 30% degli studenti è riuscito a completare la tesi nel tempo previsto.
Altri studi, sempre rivolti a studenti, hanno portato a conclusioni analoghe.
Chiedendo ad un gruppo di studenti di stimare quando avrebbero completato i loro progetti accademici personali, in particolare le date entro il quale avrebbero potuto dare probabilità rispettivamente del 50%, 75%, e 99%, i risultati sono stati:
- il 13% dei soggetti ha terminato il progetto alla data in cui aveva assegnato un livello di probabilità del 50%;
- il 19% ha concluso entro la data alla quale aveva assegnato una probabilità del 75%;
- il 45% è riuscito a concludere entro la data definita come “caso peggiore” (99%)
Questi valori possono dare l’idea di quanto importante sia l’impatto degli errori di pianificazione e della difficoltà delle aziende ad allocare le risorse umane ai progetti.
I precedenti esperimenti, verificati poi da molti altri in ambiti di ogni genere, mostrano che senza un’attività di pianificazione strutturata, gli errori sono considerevoli.
Nella maggior parte dei casi (oltre il 50%) si supera il tempo definito come “caso peggiore” (certezza al 99%). Questo ci fa capire quanto incerta sia la nostra “certezza”.
Sottovalutare tempi o risorse da dedicare ad un certo task può portare a proroghe e aumenti di budget, ma anche a risultati affrettati e incompleti (o completamente errati).
La tendenza delle persone di sottostimare i tempi necessari per svolgere un’attività è chiamata “Planning Fallacy” (Kahneman e Tversky, 1979).
Perché questo genere di errore è così diffuso?
In alcuni casi la sottostima è voluta per presentare un progetto con tempi e costi contenuti, sapendo che poi sarà necessario aumentarli in corso d’opera. Quasi tutti abbiamo avuto l’occasione di trovarci a subire questa situazione: nell’implementazione di un sistema informativo, nella costruzione di una casa, nella riparazione di un’auto e così via.
Nella maggior parte dei casi questi errori di pianificazione non sono volontari (e quindi sono più difficili da controllare), in particolare:
- Il tempo impiegato in passato per svolgere attività simili, non riuscendo a ritrovare punti di contatto con altri progetti già svolti. Focalizzarsi sull’attività di pianificazione senza avere una visione di insieme porta a vedere le differenze rispetto ad altri progetti anziché le analogie. Vengono così tralasciate informazioni preziose relative al passato.
- “Optimism bias”: è una distorsione che ci porta a credere che ci siano meno rischi per noi di subire un evento negativo rispetto alle altre persone. Questo meccanismo ci porta a sottostimare i rischi di eventi che possano mettere in discussione la nostra pianificazione. Secondo Daniel Kahneman: “Molti di noi vedono il mondo come più benigno di quello che realmente è, le nostre risorse più efficaci di quello che realmente sono, e gli obiettivi come più realizzabili di quanto non siano. Tendiamo anche a esagerare la nostra capacità di prevedere il futuro, favorendo un ottimismo immotivato. In termini di conseguenze per le decisioni, il pregiudizio ottimista potrebbe essere la più significativa delle distorsioni cognitive“. Non considerando possibili alternative al caso migliore, sottovalutiamo la probabilità di complicazioni e ostacoli imprevisti (ma prevedibili). Facciamo inoltre il possibile per ricordare i casi migliori e dimenticare le difficoltà passate (come già visto sul post “Impariamo dai nostri errori? “ http://culturainimpresa.com/?p=180 ). I casi di polarizzazione, come l’“Optimism bias”, si rendono più evidenti nel caso l’attività venga svolta in gruppo. Nelle decisioni di gruppo entrano in gioco molte dinamiche distorsive. Una delle più osservate riguarda l’estremizzazione delle posizioni, che ha un chiaro effetto negativo nella pianificazione.
- LeBoeuf e Shafir hanno studiato il meccanismo dell’ancoraggio: quando approfondiamo l’analisi, lo facciamo con l’obiettivo (inconscio) di avvicinarci il più possibile alla nostra stima iniziale. Questo meccanismo lo ritroviamo anche in molti altri ambiti; una volta costruita una prima impressione/valutazione, il nostro impegno è per confermarla anziché per valutarla razionalmente.
- Una volta che si ha una visione d’insieme del progetto, è necessario concentrarsi sulle singole attività. Capita di trascurare alcune delle azioni chiave che devono essere intraprese e che possono influenzare in maniera significativa la pianificazione (e la fattibilità). Questo avviene con più facilità nel caso in cui la persona che si occupa della pianificazione sperimenti un senso di potere legato a questa attività.
- Tanto più consideriamo desiderabili i benefici che possiamo ottenere, tanto più riduciamo l’attenzione sui possibili problemi, aumentando gli errori. Ovviamente è vero anche il contrario: se siamo contrari ad un progetto, i possibili aspetti negativi ci balzeranno subito agli occhi. In particolare questo processo viene amplificato dalle motivazioni (es. eventuali premi) che vengono poste dall’azienda su chi si occupa della realizzazione del progetto (motivazioni che portano quindi ad un risultato opposto rispetto alle aspettative).
Per evitare l’errore di pianificazione, dobbiamo sapere della sua esistenza e trovare delle contromisure adeguate. Il progetto va quindi analizzato in tutte le sue fasi ed è molto importante che ci si concentri sulla ricerca dei punti che potrebbero portare problemi. Quest’ultima fase non va mai saltata. La ricerca di analogie con attività già svolte è un altro elemento che aiuta la precisione
Kahneman propone tre fasi per ridurre gli errori di pianificazione:
- Identificare una classe di riferimento appropriato (tipologia del progetto). Considerare il progetto come parte di una classe e non come una nuova attività ci impone di confrontarci con il passato.
- Ottenere le statistiche della classe di riferimento (tempi, costi ed errori). In azienda sono spesso presenti informazioni che potrebbero essere utili all’analisi se solo venissero consultate .Utilizzare questa ricerca obiettiva per generare una previsione di base.
- Se, nonostante questo processo, sia ancora presente il Planning fallacy, calcolare sulla base dello storico una percentuale di errore da considerare sulla previsione di base.
La consapevolezza dei meccanismi relativi al Planning Fallacy permette di migliorare sensibilmente la precisione e di conseguenza offrire ai propri clienti costi e pianificazione dei lavori più corretti.
(Alberto Viotto)