I nostri sensi possono essere facilmente ingannati, la nostra memoria non solo è meno affidabile di quanto crediamo, ma spesso viene ricostruita dal nostro cervello per farci credere di essere coerenti, i nostri ragionamenti sono soggetti a fallacie di ogni genere. Con questi presupposti possiamo aspettarci che i nostri giudizi nei confronti delle altre persone possano essere oggettivi?
L’errore fondamentale di attribuzione è la tendenza a pensare che le azioni degli altri siano soprattutto legate a loro caratteristiche interne, e ad attribuire i propri comportamenti soprattutto a situazioni esterne, che ci spingono ad agire in quel modo. In sostanza, tendiamo a presupporre che le azioni degli altri siano meno influenzate dall’ambiente rispetto alle nostre e che siano invece indicative della loro personalità.
Come spesso capita, il nostro cervello cerca scorciatoie che permettano di valutare rapidamente le situazioni senza doverci dedicare troppe risorse cognitive. Queste scorciatoie vengono chiamate “euristiche” e ci permettono di semplificare concetti complessi sostituendoli con informazioni già in nostro possesso.
L’errore fondamentale di attribuzione può essere visto come un’euristica perché ci permette di dare giudizi su un comportamento, anche senza avere le informazioni che ci servirebbero per spiegarlo.
L’errore fondamentale di attribuzione ha un impatto importante non solo nella vita privata delle persone, ma anche in ambito professionale in quanto limita la nostra capacità di giudizio e ci spinge verso decisioni irrazionali.
Nel rapporto con i colleghi ci si forma un’immagine a partire da informazioni parziali e si completa con una generalizzazione di quanto conosciamo di loro e da inferenze arbitrarie (vedi l’articolo “Interpretare gli altri basandosi sul loro comportamento: le inferenze corrispondenti” https://www.culturainimpresa.com/interpretare-gli-altri-basandosi-sul-loro-comportamento-le-inferenze-corrispondenti/ ). Il giudizio si ripercuote quindi sulle attività svolte, che vengono valutate sulla base di dati parziali perché si utilizza questo bias per completare il quadro di valutazione, anziché verificare le condizioni esterne. È assolutamente tipico fare questo tipo di errore, il cervello ci spinge ad utilizzare il più possibile le euristiche e gli stereotipi perché permettono di risparmiare capacità elaborativa. Il quadro che ci siamo poi fatti sulle persone tende a rimanere stabile e a definire un modello che utilizziamo per classificare una persona che abbiamo però costruito sulla base di dati incompleti. Una volta definito, utilizzeremo questo modello ogni volta che prendiamo in considerazione quella persona, senza fermarci a riflettere sulla veridicità e sulla consistenza dei dati di partenza.
Pensiamo a tutte le volte che abbiamo classificato un collega come incompetente, senza approfondire le motivazioni esterne che lo spingono ad un certo comportamento. Una volta etichettato, questo collega rimarrà classificato nella nostra mente come incompetente e utilizzeremo questa classificazione automaticamente tutte le volte che lo prenderemo in considerazione senza fermarci a riflettere.
Spesso le organizzazioni delle quali facciamo parte non hanno processi decisionali solidi e consistenti, diventando quindi fonti di pregiudizio cognitivo.
Il sistema più efficace per ridurre l’impatto di questi automatismi è quello di dedicare risorse cognitive ad un ragionamento più approfondito. Nella realtà, quando stiamo guidando e qualcuno ci taglia la strada difficilmente saremo disposti a riflettere prima di accettare il giudizio che il nostro cervello ci mette a disposizione sull’altro automobilista. Lo stesso processo capita nelle organizzazioni quando, concentrati su molte cose contemporaneamente, non ci fermiamo a riflettere e utilizziamo gli automatismi che il cervello ci mette a disposizione per risparmiare energia.
Purtroppo i danni che questi comportamenti provocano alle organizzazioni sono molto difficili da quantificare perché una volta presa una decisione difficilmente saremo disposti a metterla in discussione, anche se affrettata. Anche in questo caso il cervello ci fornisce diversi sistemi per giustificare a posteriori un nostro comportamento scorretto e, se continuiamo a non voler dedicare un ragionamento approfondito, non saremo mai in grado di capire i nostri errori.
Sia a livello personale che professionale, la strategia migliore per ridurre l’impatto delle scorciatoie mentali automatiche è quella di cercare per quanto possibile di dedicare per qualche istante le nostre risorse cognitive ad una valutazione più logica. Sicuramente è più faticoso, anche perché il nostro cervello ci mette a disposizione delle risposte, magari sbagliate, ma già pronte.
(Alberto Viotto)