Nel lavoro, così come nella vita, ci può capitare di non sentici stimati quanto meritiamo. Il desiderio di essere stimati influenza la nostra autostima, ma anche il senso di appartenenza e di sicurezza. Questi sono dei temi indicati da diversi livelli nella piramide di Maslow (http://it.wikipedia.org/wiki/Bisogno) che è una semplificazione della gerarchia dei bisogni dell’essere umano. Siamo quindi molto sensibili al giudizio altrui, in particolare a quello delle persone con le quali condividiamo aspetti importanti della vita (come il lavoro).
Vedendo quanta influenza può avere su di noi, dovremmo essere in grado di capire come l’apprezzamento sia uno stimolo molto più efficace del biasimo nel confronto con colleghi e collaboratori anche nel caso di comportamenti errati.
A questo approccio “meccanico”, dobbiamo aggiungere anche quella che è la nostra reazione psicologica a questi stimoli. Il nostro cervello ha a disposizione numerose tecniche per ridurre l’impatto di stimoli negativi (http://it.wikipedia.org/wiki/Meccanismo_di_difesa), è facile quindi capire che per ottenere effetti più efficaci e duraturi dalle persone dobbiamo puntare su soprattutto stimoli positivi (ma non solo).
Imparare dagli errori si è dimostrato un sistema poco efficiente anche egli affari: gli imprenditori che sono riusciti in passato, sono più propensi a ripetere i loro successi di quelli che hanno fallito.
Il professor Joydeep Bhattacharya del dipartimento di psicologia dell’University of London, studia cosa distingue chi riesce ad apprendere facilmente dai propri errori da chi ha maggiori difficoltà: “Ci viene sempre detto quanto è importante imparare dai nostri errori e dalle nostre esperienze, ma quanto è vero? Se lo è, allora perché non impariamo tutti nello stesso modo dalle nostre esperienze? Sembra che alcune persone lo facciano raramente, anche quando ripetutamente informate dei propri errori”. Il professor Bhattacharya ipotizza che il cervello sia maggiormente “attivo” nelle persone che imparano più facilmente dai propri errori.
Donna Alvermann, ricercatore presso l’Università della Georgia, ritiene che gli studenti ignorino le informazioni corrette quando in conflitto con informazioni già in loro possesso: “Su test di libera rievocazione e riconoscimento, gli studenti mantengono le loro conoscenze pregresse per quanto errate, ignorando nuove informazioni corrette “. Le motivazioni sono legate non solo alla difficoltà a disimparare, ma anche alla resistenza del nostro cervello a riconoscere gli errori. Dobbiamo quindi essere consapevoli che proteggiamo le nostre esperienze, abitudini, conoscenze, anche quando siamo veniamo a conoscenza dell’esistenza di strade più efficienti.
Semplificando: prendere in considerazione opinioni diverse è faticoso, accettare di aver sbagliato è faticoso, disimparare è faticoso. Oltre a questo, siamo sempre alla ricerca di mantenere per quanto possibile, coerenza tra le nostre azioni passate e le nostre convinzioni presenti.
Earl K. Miller, il professore di Neuroscienze del MIT e i colleghi Mark Histed e Anitha Pasupathy hanno creato per la prima volta un’istantanea unica del processo di apprendimento che mostra come le singole cellule cambiano le loro risposte in tempo reale come risultato di informazioni su quale sia l’azione giusta e quale sia quella sbagliata.
“Abbiamo dimostrato che le cellule cerebrali tengono traccia di se i comportamenti recenti hanno avuto successo o meno”, inoltre, quando un comportamento ha avuto successo, le cellule sono state sintonizzate con maggiore precisione su ciò che si stava imparando. Dopo un insuccesso, il cervello non ha subito variazioni nulle, né vi è stato alcun miglioramento nel comportamento.
Dopo una risposta corretta, gli impulsi elettrici provenienti dai neuroni in ciascuna delle aree del cervello erano più robusti e trasmettevano più informazioni. “Il rapporto segnale / rumore è migliorato in entrambe le regioni del cervello”, ha detto Miller. “L’intensificarsi della risposta ha portato ad avere più probabilità di ottenere la prossima prova corretta. Questo spiega a livello neurale perché sembra che impariamo di più dai nostri successi che dai nostri fallimenti”.
Come in molti altri casi nell’ambito professionale, le organizzazioni spesso ignorano i meccanismi che regolano il nostro comportamento e disegnano processi poco efficienti per gestire le persone. Ogni persona però può fare molto per migliorare la propria reazione e mantenere “attivo” il proprio cervello, accettando di elaborare con più attenzione gli stimoli negativi anche se questo non è molto piacevole.
(Alberto Viotto)